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LA VITA CHE NON CIE, il documentario che dà voce a chi non ha voce

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luce-manoL’amore è il filo rosso che collega i personaggi del documentario di Alexandra D’Onofrio, “LA VITA CHE NON CIE”. L’amore per una donna, l’amore per un uomo, l’amore tra padre e figlio; ma anche l’amore per il proprio Paese, per la libertà e, soprattutto, per il rispetto e per la dignità umana.

Prodotto da Fortress Europe, il blog di Gabriele Del Grande che da anni segue le vicende dei migranti “nel Mediterraneo e lungo i confini dell’Europa”, “LA VITA CHE NON CIE” racconta tre storie, narrate dalla voce di chi ha passato molti mesi all’interno dei CIE italiani.

I CIE sono i Centri di Identificazione ed Espulsione, strutture atte al riconoscimento e all’eventuale espulsione dei migranti che arrivano nel nostro Paese. Più volte ¡NoMás!  - e non solo – ha trascritto le voci che denunciavano la mancanza di diritti umani all’interno dei Centri. Il documentario (che qui sotto potete vedere per intero) ve le fa anche ascoltare, ce le fa anche vedere.

Come scrive Forterss Europe sulla sua pagina Facebook:

Secondo i dati MEDU, dai CIE italiani nel 2013 sono stati espulsi l’1% dei lavoratori senza documenti: 2.749 rimpatri a fronte di 300mila lavoratori senza documenti che vivono in Italia. 

Possibile che l’ipotesi chiusura dei CIE sconvolga i dati sulla presenza di lavoratori senza documenti, visto che di fatto le espulsioni coinvolgono solo l’1% di quella popolazione? 

La verità è che vuoi per motivi culturali, vuoi per motivi di diritto, vuoi per motivi di efficienza, la soluzione è una sola: libertà di circolazione. 

Nel nostro Paese, la tendenza diffusa è quella di tenere la saracinesca mezza abbassata: si rende la vita difficile agli immigrati, coniando leggi nazionali in contraddizione con i trattati internazionali firmati dalla nazione stessa, per poi lasciare che il 99% dei “clandestini” circoli e lavori nel nostro Paese. Come già riportato in un altro mio articolo, è evidente quanto tali sistemi di “regolarizzazione/sicurezza” non siano altro che una spesa per i cittadini italiani e un affronto alla dignità dei migranti. Non solo, in nome di ideologie politiche poggianti sulla sola logica del capro espiatorio, si perde di vista l’importanza dell’integrazione, sia dal punto di vista economico-utilitaristico, sia da quello umano-culturale.

di Pietro Crippa


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